sabato 26 gennaio 2019

Blog Tour Time Vampires - 3 giorni!

Come promesso, ecco qui l'estratto che riguarda il nostro secondo protagonista, un essere affascinante, quanto pericoloso.



Da Time Vampires - Codice Agatha





Damien sospirò, guardandosi intorno.
Aveva un bisogno disperato di energia per sopravvivere, e tutte quelle persone che si muovevano in modo vorticoso intorno a lui non facevano altro che portargliene via.
Osservava da secoli gli esseri umani e ancora non riusciva a capire perché fossero sempre di corsa. Correvano per nutrirsi, per divertirsi, per combattere. Persino per amare.
E non avevano imparato nulla da tutta la loro storia.
Un movimento fluttuante provocato da un palloncino nell’aria, tenuto con un sottile filo da una manina paffuta, attrasse il suo sguardo. Era di un arancione brillante, caldo, con la membrana sottile che disegnava un ovale perfetto e che, soffiato dal vento, effettuava un dondolio quasi ipnotico. Damien si sentiva leggero, proprio come quel corpo fluttuante, privo di peso. Il palloncino sarebbe volato via libero se solo non ci fosse stata quella manina a trattenerlo.
Anche lui aveva la sensazione che, se non ci fosse stata la panchina a sorreggere il suo peso, si sarebbe dissolto.
Con uno sforzo enorme, riportò lo sguardo verso il basso, fissandosi le mani, e inarcò un sopracciglio: stavano scomparendo. Sospirò. Doveva decidersi ad andare in cerca di energia, prima di essere solo un ricordo.
Ricordo?
Ci rifletté e arrivò alla conclusione che non poteva essere neanche un ricordo, visto che nessuno lo vedeva: non era altro che uno spettro.
“Se la gente sapesse cosa sono, si metterebbe a ridere”.
Stirò le labbra in un sorriso amaro, ma non accennò ad alzarsi. Ce l’avrebbe fatta? O invece la stanchezza che sentiva dentro lo avrebbe convinto a rimanere su quella panchina, in attesa di diventare una particella di quel vecchio, consumato, inutile universo?
«Mamma, possiamo prendere un palloncino?».
Quel tono dolce e titubante gli fece riaprire gli occhi.
Una bambina minuta, con una cascata di riccioli neri che le incorniciava il visino delicato e gli occhi profondi, stava guardando nella sua direzione con aria sognante.
«Ma certo, tesoro! Di che colore ti piace?».
«Non lo so, mi piacciono tutti».
Damien osservò gli oggetti svolazzanti e pensò: “Rosso”.
«Rosso!», esclamò la bambina. «Sì, lo voglio rosso».
L’uomo sorrise: aveva sempre avuto un profondo feeling mentale con i bambini. Osservò ancora per un po’ quei riccioli scuri e sentì il vuoto aumentare dentro di sé. Conosceva la storia della piccola e sapeva che a breve, la sua vita sarebbe terminata. Aveva assorbito energia dalla sua mamma, e insieme aveva ricevuto i suoi dolorosi pensieri. E ogni volta si rammaricava che giovani fiori così delicati avessero vita breve, ma non poteva porvi rimedio. L’unica cosa che poteva fare era assorbire energia da persone che non meritavano di vivere, ma era solo una fugace illusione.
Le regole erano poche, ma molto ferree: poteva assorbire l’energia vitale dagli umani, ma senza causarne la morte. Non doveva interferire con le loro leggi, ma soprattutto non doveva rivelare la sua natura.
«È bellissimo!», esclamò la bambina con un sorriso estasiato, stringendo il filo in una mano e guardando il suo palloncino svolazzare, mosso dal vento. «Vero, signore?».
«Sì, davvero», annuì lui.




Si alzò con cautela e le passò una mano sui capelli in un’ultima carezza.
Il suo tempo stava finendo come quello della piccola e l’istinto di conservazione lo aveva scosso da quel torpore.
Si concentrò per un attimo, fissando i contorni delle persone intorno a lui. Vedeva intorno a loro una vaga aura, di colore diverso a seconda della loro natura di vittima o predatore, che indicava a Damien e ai suoi simili anche il livello di energia che avevano.
Già, perché erano gli esseri umani e la loro energia il sostentamento di quelle presenze antichissime, appartenenti alla stirpe di Kairos che, come l’essenza della parola greca indicava, dominavano il “tempo di Dio” e occupavano un “tempo di mezzo”, una dimensione che si incrociava con quella dell’uomo, ma senza davvero farne parte.
Venivano accomunati alla figura mitologica del vampiro, mostro che succhia sangue agli umani per prolungare la sua esistenza, pur essendo già morto, ma in realtà i Kairosyani si nutrivano della parte più preziosa dell’essere umano, ossia il suo tempo.
E tanti di loro, pur essendo stati uomini, ne avevano perso il ricordo quando erano stati trasformati in strumenti per la vendetta divina.
Un brillio di una sfumatura d’azzurro catturò la sua attenzione e, concentrandosi sull’obiettivo, con un leggero movimento del capo spostò il corpo, o quello che ne rimaneva, verso la vittima.
Arrivò alle spalle della giovane donna che sedeva all’ombra del monumento. Era assorta a guardare il campanile della piazza, mentre dava un morso svogliato all’hot-dog che aveva comprato al chiosco. Damien le appoggiò i palmi delle mani sulle spalle e, come una flebile scarica elettrica, una calda energia si trasferì nel suo corpo, che cominciò a riprendere consistenza.
Impiegò quello che per lui era un battito di ciglia, ma l’orologio che indossava, sul cui quadrante lampeggiavano antiche rune, indicava che aveva sottratto alla sua vittima ben tre ore.
La lasciò andare sentendosi ritemprato, ma un fiotto quasi doloroso gli invase la mente. Una stretta alla bocca dello stomaco, un disagio che si tramutò in rabbia cieca quando le immagini gli si riversarono nella mente: un licenziamento, dolore, delusione, una famiglia da cui tornare a mani vuote.
Lisa. Quello era il nome della ragazza che adesso fissava imbambolata il suo freddo panino, mentre lanciava un’occhiata sorpresa intorno a sé.
Era sempre così, quando si risvegliavano dall’incontro con lui, incerti sull’accaduto, un brivido di freddo lungo la schiena e una sensazione di pressione sulle spalle.
Lisa si strofinò le braccia cercando di riscaldarsi e lasciando cadere nel cestino dei rifiuti quel che restava del suo pranzo. Fissò l’orologio e gettò un’esclamazione soffocata: il tempo era passato in fretta!
Damien, pur rimanendo sulla soglia della sua dimensione invisibile, provava le sue stesse sensazioni e le lasciò scorrere. Era un disagio conosciuto, ma sapeva che sarebbe passato in fretta. Il tempo di riuscire a raccogliere quei ricordi, sigillarli in un angolo della sua mente ed etichettarli come “effetto collaterale” prima di riprendere il suo girovagare.
Rassegnata, Lisa si avviò verso casa, meditando sulla situazione in cui si trovava e cercando un modo per poterlo comunicare ai suoi cari.
“Ce la farai”, pensò tra sé Damien, seguendola con lo sguardo. “Sei una donna”.
Aveva una profonda ammirazione per il genere femminile, da quando, giovane del tardo Medioevo, aveva scoperto la passione, la grinta e l’ardore che le donne mettevano in ogni impresa, non rimanendo a trastullarsi nella loro tetra situazione, nonostante vivessero un’esistenza misera e inferiore all’uomo.
La loro linfa vitale era cristallina, quando gli arrivava dentro, come una cascata rigenerante per il suo corpo.
Si diresse fischiettando verso il viale alberato e, con un leggero cenno della mano, fece inciampare un uomo in prossimità di Lisa, così che lui la urtasse.
Tra scuse varie, risate e imbarazzo, avrebbero compreso che si piacevano e lui avrebbe spiegato che la fretta e la distrazione che l’avevano fatto inciampare erano da imputare a un lavoro urgente da finire perché la segretaria si era licenziata.
“Se non mi fossi fermata qui tutto questo tempo!”, avrebbe pensato Lisa, sorridendo, mentre accompagnava l’uomo in direzione del vicino palazzo.
Eh, i misteri della vita!
«Torniamo alla base», sorrise Damien, mentre a passo svelto si dirigeva al campanile.



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