venerdì 25 gennaio 2019

Today is the day! Time Vampires is Coming

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Curiosi di sapere di cosa tratti questo libro?
Eccovi qualche estratto dal Prologo, uscito tempo addietro come episodio pilota. Oggi vi presento Kira.

Buona lettura!


❂❂❂

Kira odiava la nebbia.
E quella mattina a Pittsburgh ce n’era fin troppa.
Rabbrividì, stringendosi addosso l’impermeabile, più per la sensazione che provava che per il freddo.
La nebbia la faceva sentire persa: era come essere avvolta nel magico mondo di Alice in Wonderland, dove, all’improvviso, poteva apparire un essere sconosciuto... ma anziché proporre magie, le avrebbe regalato solo incubi.
“La odio!”, si disse, mentre si apprestava a raggiungere l’edificio dove l’aspettava Max, il suo capo.
Si guardò attorno, scrutando pensosa il bureau della city, il comando di polizia situato in un vecchio palazzo vittoriano dello Strip District, la cui facciata era scurita dallo smog e dalle intemperie, chiedendosi per l’ennesima volta perché fosse stata convocata lì.
Di solito, per lavoro non si confrontava mai con le forze dell’ordine, né collaborava con loro, e questo imprevisto incontro la incuriosiva, ma la preoccupava allo stesso tempo.
Apparteneva a una squadra operativa “fantasma”, alle dipendenze di un’organizzazione privata, e svolgeva ruoli di recupero dati oppure di ripulitore, un termine molto blando per definire il suo compito di “pulizia”, quando avvenivano operazioni cruente, o di cui i governi dello stato in cui lavoravano non dovevano essere informati.
Producendo uno sbuffo di vapore, varcò la porta d’ingresso. La sala d’aspetto era come un formicaio nell’ora di punta: agenti che entravano e uscivano, donne poco vestite che riempivano di insulti il piantone di turno chiedendo di essere rilasciate o di poter telefonare a casa; giovani avvocati d’ufficio dall’aria distrutta che vagavano da una scrivania all’altra, trascinando voluminosi dossier.
“Peggio del mercato rionale quando si riuniscono le massaie. Sorrise, dirigendosi al banco dell’agente di guardia per chiedere indicazioni.
«Ehi! Cerca di metterti in coda, baby!», l’apostrofò bruscamente una rossa provocante con il mascara e la matita colati sul viso, cercando di allontanarla con uno spintone.
Kira evitò di essere toccata e le lanciò un’occhiata gelida, facendole bloccare il braccio a mezz’aria, sorpresa. Poi, come nulla fosse accaduto, la schivò e chiese dove trovare la detective Cobain. L’uomo la fissò stupito, ma le indicò la linea rossa dipinta sul pavimento che l’avrebbe portata dalla persona che cercava. Con un cenno della testa, lei si incamminò, facendo sollevare numerosi sguardi in sua direzione.
Sapeva di essere appariscente, con i suoi lunghi capelli biondi, di un colore quasi lunare, i profondi occhi blu e gli zigomi scolpiti. La silhouette perfetta era modellata in un jeans fasciante e un dolcevita nero, mentre il suo incedere ricordava una letale pantera.
Varcò la porta e fece scivolare lo sguardo sui presenti. C’erano tre uomini e una donna, impegnati in una conversazione serrata.
La detective Cobain, seduta a un lato della scrivania, faceva domande incalzanti a cui Max rispondeva con garbo e meticolosità. Si interruppe un attimo, quando percepì la sua presenza e, voltando appena la testa, la presentò:
«Mia nipote Kira».
«Nome insolito», mormorò la detective, valutandola.
«Orientale», replicò la ragazza con una smorfia, per sottolineare che aveva sentito quella battuta tante volte.
«Uhm. Signor Kaminski, come le dicevo, vorremmo avere da lei alcune informazioni sul professor Klaus Krainager, defunto titolare della Kraientech. Sappiamo che siete amici di vecchia data...».
«Klaus e io ci conosciamo fin dal liceo e abbiamo fatto alcuni anni di college presso lo stesso campus, anche se poi abbiamo preso specializzazioni diverse. Già a quei tempi era un autentico genio».
«Da quanto non lo vedeva?».
«Un paio di mesi circa. Sono stato via per lavoro e lui era molto preso dai suoi studi. Non so se ne siete al corrente, ma è stato candidato al premio Nobel per le sue ricerche sul genoma e le variazioni cromosomiche».
«Sì», affermò la donna, sfogliando i vari fascicoli sparsi sulla scrivania. «Aveva nemici, che lei sappia, o motivi per cui potesse pensare di porre fine alla sua vita?».
«Klaus? No. Era un uomo che amava la vita, anche se negli ultimi due anni era stato provato da un grande dolore», rispose, scuotendo la testa con vigore.
«Allude a sua figlia?».
«Già».
Max sospirò, passandosi una mano sulla fronte.
«La morte di Agatha l’aveva completamente distrutto. Sa, non è stato facile per lui allevare una bambina da solo, tutto preso com’era dai suoi studi, ma aveva superato il problema alla grande».
«Non aveva una moglie, una compagna? La madre della piccola, per esempio?».
«No, Agatha era nata da una donazione di ovuli, una mamma surrogato. Klaus desiderava un bambino, ma non aveva tempo per le relazioni umane, per così dire. Si era rivolto a un’agenzia specializzata e, dopo qualche tempo, mi aveva chiamato tutto entusiasta presentandomi la bambina».
«Cosa è successo alla piccola?», chiese uno degli uomini, prendendo annotazioni su un tablet.
«Morbo di Batten». Max sospirò. «Si è manifestato verso il quinto anno di vita. Quando l’ha scoperto, Klaus ha cominciato a lavorare instancabilmente per due anni, cercando di salvarla, ma senza successo. Davvero un colpo, per lui che aveva trovato la soluzione per aiutare tanta gente, ma non la persona che più amava al mondo».
Gli agenti si scambiarono una breve occhiata, e poi, da una busta gialla, la detective prese un involucro trasparente, contenente un foglio staccato da un blocco di appunti, su cui era vergato qualcosa con una grafia nervosa.
Max se lo vide proporre lungo il tavolo e chiese:
«Cos’è?».
«L’hanno trovato sul tavolo accanto al corpo. Sulla busta c’era il suo nome, professore».
Lui fissò per qualche attimo la Cobain e poi lo prese e lo studiò con attenzione.
Sulla busta che accompagnava il foglio si leggeva “Per Max Kaminski”. Sul foglio c’era un’unica parola: Agatha.
«Che significa?», chiese Max, riportando lo sguardo sulla donna.
«Speravamo ce lo dicesse lei».
«Non capisco. Se Klaus avesse voluto dirmi qualcosa, non mi avrebbe lasciato solo il nome di sua figlia», commentò lui, irritato. «Non c’era altro?».
«Forse pensava che avrebbe capito...», azzardò uno degli uomini.
«Vuole insinuare che questo spiegherebbe un ultimo gesto disperato? Un uomo distrutto che, dopo due anni dalla morte della figlia, decide di farla finita? Mi perdoni, ma non ci credo!».
«Non tireremo conclusioni affrettate, professore. Le prometto che controlleremo ogni indizio, ogni pista, ogni dichiarazione».
«Bene. Attendo sue notizie allora, detective».
Con un gesto secco, Max si alzò e, dopo aver stretto la mano alla donna, seguito da Kira, si affrettò a lasciare la sala e l’edificio.
La ragazza camminò al suo fianco senza fare domande, aspettando che fosse lui a iniziare qualsiasi discorso, compreso il motivo per cui l’aveva convocata.
Sul marciapiede, Max tirò su il bavero del cappotto e sospirò. Attese qualche secondo e poi si incamminò verso la sua auto parcheggiata sul lato opposto della strada.
Kira gli prese le chiavi dalle mani, si sedette al posto di guida, aspettò che lui si accomodasse in quello del passeggero e, dopo un’occhiata allo specchietto retrovisore, avviò il motore e si inserì nel traffico ancora abbastanza scorrevole.
«Ho una missione per te», dichiarò Max, alla fine.
«Cosa vuoi che faccia?», chiese lei, senza neanche guardarlo.
«Faccio qualche telefonata e poi, se ho le risposte che cerco, dovrai partire».
«Nessun problema».
«Kira, questa volta è una cosa non ufficiale», soggiunse l’uomo, voltandosi verso di lei. «Riferirai solo a me».
La giovane donna gli lanciò un’occhiata seria, prima di riportare lo sguardo sulla strada e fermarsi a un semaforo.
«Mi darai qualche dettaglio?».
«Credo che tu abbia capito cos’è successo. Qualcosa non torna, Kira. Né la morte di Klaus, né le circostanze, né quel biglietto. Ho bisogno di sapere la verità. Credo che quella scritta sia una richiesta di aiuto, ma non so ancora per chi o per cosa». Sospirò. «Lo farai?».
Per la prima volta da quando lo conosceva, Kira notò una piccola incrinatura nella sua voce che la sorprese: Max non era tipo da mostrare emozioni.
Forse era il dolore della perdita dell’amico, o forse qualcosa che lei al momento non capiva, ma decise che non le importava.
«Aspetto il tuo via», asserì, tranquilla, inserendo la marcia e ripartendo in direzione della periferia.


A domani, dove incontrerete... Damien! ♥


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