Lettori fissi

giovedì 28 febbraio 2013

Estratto da 'Un graffio al cuore'


Capitolo 1




Pioveva copiosamente.
Samuel fissava le gocce di pioggia che, impetuose, si riversavano sull’asfalto e nella loro caduta battevano disperate contro il vetro della finestra, si infrangevano e poi franavano rovinosamente verso la strada.
L’acqua scrosciava furiosamente ed ogni tanto qualche lampo illuminava il cielo grigio, facendo vacillare la compattezza delle nubi.
«Proprio come quel giorno!» si disse sospirando piano e appoggiando la fronte al vetro. «Non si direbbe, ma è già passato un anno.»
Sentiva rimbombare il brontolìo del tuono nel suo cuore, mentre una mano stretta e ghiacciata lo stringeva in una morsa che gli procurava angoscia.
Rivedeva nella sua mente gli occhi gelidi di Francesca che dalla porta lo salutava con un solo cenno della mano, mentre si allontanava a passi veloci verso le scale, senza voltarsi indietro. 
Non era stata la fine della loro storia a renderlo così triste, ma la facilità con cui lei lo aveva liquidato, dicendogli che aveva conosciuto un ‘tipo’ molto brillante, ‘un vero uomo’.
La frecciatina era diretta a quella parte del suo carattere che lei aveva sempre detestato.
Samuel era dolce, tenero, romantico, il sogno di tutte le donne, come avrebbe detto la sua amica Laura con un sorriso ironico, ma ‘troppo zuccheroso’ per Francesca. Lei adorava i tipi ‘machi’ quelli dall’aria misteriosa, bastarda che fanno soffrire una donna e che la tengono sempre sulla corda.
Samuel al contrario era presente, puntuale, premuroso e lei, dopo esserne stata affascinata per un po’, aveva cominciato ad irritarsi e sentirsi schiacciata.
Così quel martedì di fine primavera, senza dire neanche ‘scusa’ lo aveva liquidato sulla porta di casa, come un pezzo di carta lasciato abbandonato su un cassettone e di cui non sapeva cosa farsene.
Invece lui ci aveva lasciato il cuore...
Sospirò di nuovo, mentre avvertiva un rantolo di sottofondo che lo distrasse dai suoi pensieri. 
Zerbino, il suo gatto maculato, si sollevò dal suo rifugio e con una morbida andatura raggiunse la porta d’ingresso. Emise un miagolio, graffiando la porta con la zampina. Ero uno strano suono, a metà tra un miagolio e uno starnuto, molto diverso da tutto quello che aveva fatto fino a quel momento.
Samuel si girò a fissarlo, ma il gattino continuò a lamentarsi, gironzolando sul tappeto su cui era solito accoccolarsi e fissando la porta in attesa che si aprisse.
Anche Palletta, la sua cagnolina, aveva alzato la testa e lo guardò in modo interrogativo.
«Che succede, piccolo?» chiese, riemergendo dai suoi pensieri.
Ma il gattino continuò con quel suo curioso verso, grattando la zampetta alla porta e guardandolo speranzoso.
Incuriosito Samuel si avvicinò e il felino si strofinò alla sua gamba per poi tornare indietro a fissare la maniglia della porta.
«Senti qualcosa fuori? Vuoi uscire?» domandò ben sapendo che il gatto non gli avrebbe risposto, ma non riusciva a trovare una risposta a quel curioso atteggiamento.
"Miaaaoooo, snuff, snuff, maoooaoo’" fece il gattino in risposta, continuando il percorso dalle sue gambe alla porta.
Sempre più perplesso Samuel aprì la pesante porta d’ingresso e con un balzo il gatto si precipitò sul pianerottolo. 
Stette un istante a fissare le scale che scendevano al piano inferiore e poi quelle del piano superiore. Infine, con un balzo deciso, si diresse verso l’alto.
«Ma dove accidenti va?» si chiese sorpreso mentre a piedi nudi lo rincorreva.
Il mistero si infittiva, visto che il felino non era solito uscire dall’appartamento.
Fece una sola rampa e si fermò di botto. 
Sul pianerottolo del piano superiore, davanti ad una porta aperta, c’erano due gambe lunghissime, fasciate in un collant dai disegni geometrici, verso cui si stava precipitando Zerbino.
«Mi spiace signorina Lorenzi, ho cercato di avvertirla, ma la sua segreteria telefonica mi diceva che non era raggiungibile.» stava dicendo la signora Mattei, segretaria dello studio di architettura, alla ragazza dalle lunghe gambe di fronte a lei.
«Non si preoccupi. Purtroppo il mio apparecchio ha qualche problema in questi giorni.» rispose con una voce melodiosa l’altra. «Posso tornare un altro giorno se preferisce.»
«Sarebbe davvero cortese se potessimo spostare l’appuntamento a domani, stessa ora.» convenne con tono sollevato la Mattei. «Adesso devo correre in soccorso dell’architetto, sperando che non sia nulla.»
«Vada pure tranquilla e spero anche io che non sia nulla di grave. Tornerò domani, se non è un problema.» affermò la ragazza. «Per sicurezza, prima di passare, le telefono per una conferma.»
«Lei è davvero gentile, grazie.» accettò l’altra, mentre chiudeva la porta, prendeva la borsa appoggiata a terra e raggiungendo l’ascensore, chiese. «Viene giù con me?»
«No grazie.» sorrise. «Devo recuperare il mio ombrello dalla rastrelliera del piano inferiore. Arrivederci a  domani.»
Le fece un cenno di saluto con la mano e, mentre si girava per ridiscendere le scale, diede un piccolo gridò.
«Ahia! Che diamine…?!»
Samuel si gelò all’istante: Zerbino anziché strusciarsi alla sconosciuta, aveva pensato bene di piantarle le unghie nella gamba e di arrampicarvisi. Stava per recuperarlo, ma la ragazza si abbassò e osservò curiosa il felino.
«Ma ciao, piccolo batuffolo!» sorrise. «Devo dedurre che non ti piacciano le mie calze?»
Ruotò la gamba per osservare lo squarcio che si era ramificato dal punto in cui il gatto l’aveva agganciata e sospirò rassegnata.
«In effetti non piacevano molto neanche a me, ma la mia amica Flavia diceva che avrebbero fatto ‘scintille’ per un colloquio di lavoro… forse non intendeva questo disastro.»
Lo sollevò e il felino si acciambellò sulle sue braccia, strofinando la testa sotto il suo mento, ripetendo il buffo miagolio che aveva fatto precedentemente ed emettendo anche qualche starnuto.
«E vedo che non ti piace neanche il mio profumo.» ridacchiò facendogli una grattatina sotto il mento. «Probabilmente è troppo intenso!… Uhm, se passavo da te prima di venire qui, magari mi evitavi una figuraccia.»
Si girò indecisa guardando le scale per capire da che parte fosse arrivato per poterlo restituire ai proprietari. I suoi occhi incrociarono quelli di Samuel, spalancati a guardarla, mentre spostava il peso del corpo da un piede all’altro.
«Salve!» gli disse. «Presumo che il piccolo assalitore sia suo.»
I suoi occhi percorsero la figura del ragazzo, dai piedi nudi ai pantaloni della tuta bianca, dalla camicia abbottonata per metà che gli lasciava scoperto una parte del petto, ai capelli acconciati in una pettinatura tribale, intrecciati sulla sommità del capo, che scendevano lunghi fin oltre le spalle.
L’insieme parve piacerle e Samuel ebbe la sensazione di essere completamente nudo davanti a lei. In un gesto automatico, si allacciò un bottone, mentre annuiva con la testa e saliva un gradino verso di lei.
«Sì, mi scusi.» rispose. «Zerbino non si comporta mai così. È scappato all’improvviso e non sono riuscito a fermarlo. Mi spiace per le sue calze, gliele rimborserò!»
«Non è successo nulla di grave, stia tranquillo.» gli disse sorridendo. «Anzi, sembra che non siano così belle come pensavo. Zerbino non ha approvato... che nome curioso per un gatto.»
«È dovuto al fatto che sta sempre sul tappetino d’ingresso… insolito, lo so!».
Samuel scrollò le spalle in tono quasi di scusa.
Non riusciva a capire perché si stesse giustificando con una sconosciuta, ma l’immagine delle sue gambe, lo faceva ancora arrossire come se avesse rubato un attimo privato della ragazza.
«Mi piace!» affermò lei, scendendo. Fece un’altra coccola al micio e dolcemente glielo passò «È veramente un bell’esemplare.»
Samuel sorrise deliziato, raccogliendolo. Zerbino invece non sembrò felice di cambiare braccia. Miagolò per protesta, ma poi accettò la situazione, guadagnando un’altra carezza da entrambi. La mano di lei sfiorò involontariamente anche il braccio nudo del ragazzo.
Samuel sentì un dolce brivido percorrergli il punto di contatto e sollevò il viso verso il suo.
Aveva due occhi luminosi, color nocciola ma leggermente spruzzati di verde, molto simili a quelli di un felino; i capelli color cioccolato, brillanti, lunghi fino alla vita, che si arricciavano alle punte in morbide onde. Il suo viso era truccato leggermente, gli zigomi messi sapientemente in risalto e gli occhi ombreggiati da una matita color fumo. Era piacevole da guardare, ma quello che lo colpì fu il sorriso: aveva denti bianchissimi, dietro una bocca carnosa, sottolineata da un gloss perlato.
«Io sono Samuel!» disse allungando la mano e distogliendo gli occhi dai suoi.
«E io sono Eliza, ma tutti mi chiamano Liz!» rispose, prendendo la sua mano e stringendogliela tra le dita lunghe e affusolate.
«Mi spiace sul serio Liz per il disastro che ha fatto Zerbino. Ti ha ferita?» chiese premuroso.
«No, tranquillo. È stato solo un pizzico!»
«Ti rimborso il danno!» ripeté convinto, abbassando lo sguardo verso la calza smagliata.
«Non se ne parla!» rispose decisa. «È stato un incidente.»
«Ma non puoi uscire così!»
«Qualcosa da ridire sul mio look da gotica?» rise la ragazza, inarcando un sopracciglio. «Uhm, devi essere un snob sul modo di vestire.»
Samuel la fissò perplesso, ma si accorse che ridacchiava e si rilassò.
«Ma no, figurati. Mi spiace che abbia rovinato il tuo bel completo... Sei una cliente dello studio?»
«No, sono venuta per un colloquio di lavoro.» rispose Liz scuotendo la testa. «Ma l’architetto ha avuto un piccolo incidente e la segretaria ha dovuto raggiungerlo di corsa.»
«Spero nulla di grave.» si informò Samuel.
«Pare di no.» lo tranquillizzò. «Non voglio sembrare insensibile, ma non vorrei perdere un possibile datore di lavoro prima che mi abbia dato una possibilità.»
Risero entrambi, mentre Zerbino aveva cominciato a ronfare.
«Ma guarda che tipo!» rise Samuel fissando il gatto. «Combina un disastro e poi si mette a dormire.»
«Beato lui!» sospirò Liz. «Io ho una giornata lunga da affrontare… Piove ancora fuori?»
«A dirotto.» mormorò il ragazzo, fissando la finestra che vedeva dalla porta aperta «Dove sei diretta?»
«All’altro capo della città.» ribatté lei. «Devo trovare un posto in cui cambiarmi d’abito, perché così vestita non attraverso neanche la strada senza inzupparmi fino al midollo!»
«Vuoi usare il mio bagno?» le chiese gentile.
«Davvero mi faresti questa cortesia?» domandò sorpresa.
«È il minimo che possa fare per sdebitarmi.»
«Grazie davvero! Non hai idea del favore che mi stai facendo.» rispose felice, appoggiandogli la mano sul braccio con calore.
Samuel sorrise dolcemente, come se avesse fatto il gesto più nobile che un cavaliere medievale potesse offrire ad una principessa in difficoltà.
Spinse la porta d’ingresso, invitando la ragazza ad entrare e appoggiò il gatto nella sua cesta, accanto alla poltrona.
Liz entrò quasi timida, rimanendo incantata a fissare le ampie volte del soffitto altissimo con travi a vista, su cui erano stati incassati, con una perizia d’artista, le lampade d’illuminazione. Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo sull’ambiente unico dell’appartamento, interamente arredato in bianco ed acciaio, che dava all’insieme una prospettiva di profondità e di purezza. 
Al fondo della sala partiva una scala in acciaio che portava al piano superiore soppalcato su cui erano disposte, presumeva, le camere e la zona notte.
«Prego, da questa parte.» la distrasse Samuel, indicandole la bellissima porta cesellata con mosaico floreale che si apriva alle sue spalle.
Liz lo fissò un attimo e ringraziandolo con un cenno della testa, prese la sua ampia borsa e si recò nella stanza indicata.
Quando sparì oltre la porta Samuel sospirò, rilassando un attimo le spalle e lo stomaco: che strana situazione! 
Qualche minuto prima era lì a guardare la pioggia e a crogiolarsi nel suo dolore e ora sorrideva tra sé pensando alla ragazza che era nel ‘suo’ bagno. Lanciò un’occhiata al gatto che continuava a dormire imperterrito e scosse la testa. 
Si allontanò di qualche passo e sentì la porta aprirsi alle sue spalle.
Stava per chiederle se avesse bisogno di qualcosa, ma il suo sguardo si fermò su una perfetta sconosciuta.
Liz lo guardò e poi cominciò a ridacchiare.
«Guarda che mi hai fatto entrare tu. Te lo ricordi?» disse appoggiando una mano sul fianco.
«Come diamine hai fatto?» balbettò continuando a guardarla, dalle scarpe bianche di ginnastica, ai jeans, la maglietta bianca e la giacca di tela con cui era vestita. Il viso, completamente struccato, era di un bianco quasi lunare e i capelli raccolti in una coda alta la rendevano completamente diversa dalla ragazza che era entrata.
«Basta avere un borsone capiente, salviettine per il trucco, poco tempo a disposizione e una discreta abitudine a cambiarsi in fretta!» rise Liz, sollevando la borsa e facendogli l’occhiolino.
«Da non crederci! Hai impiegato… quanto? 5 minuti? Di meno?» chiese guardando l’orologio da parete per poter avere un riscontro oggettivo.
Liz rise a voce bassa con un suono molto melodioso; si avvicinò lentamente e gli fece una carezza sul braccio.
«Non ne ho idea, ma sono molto allenata. Tu invece, principe, frequenti gente maleducata se ti fa sempre aspettare.»
Senza preavviso, gli scoccò un bacio dolcissimo sulla guancia e si avviò verso la porta, soffermandosi solo per fare una carezza a Palletta che si era avvicinata curiosa e una coccola a Zerbino che aveva sollevato la testa nel sentirla arrivare.
«Grazie ancora per l’ospitalità, ma devo scappare. Così recupero del tempo e vedo di prendere al volo il tram. Se tutto dovesse andare bene, ci rivedremo ancora.»
Con un ultimo sorriso e un cenno della mano, aprì la porta e sparì oltre di essa, chiudendola alle sue spalle.
Samuel rimase fermo in mezzo alla sala, si portò una mano al viso perplesso, sorridendo e scuotendo la testa. No, non gli era mai capitato un ciclone come Liz nella sua vita e sperava che l’architetto l’assumesse per poterla rivedere ancora.
Si avvicinò alla finestra e guardò in strada, dove la vide correre veloce, cercando di coprirsi con un ombrello multicolore, per prendere al volo il mezzo pubblico che si era appena fermato accanto alla pensilina.
Quasi come avvertendo un richiamo, la ragazza alzò la testa verso la sua finestra, attese un attimo e poi agitò l’ombrello in sua direzione in segno di saluto.
«Ciao Liz!» sussurrò Samuel agitando la mano. «Hai portato un po’ di arcobaleno in questa mia giornata.»
Seguì il tram con lo sguardo finché non lo vide sparire al fondo del viale, decidendosi solo allora ad andare nella sala attrezzata a palestra per provare il pezzo di cui stava preparando la coreografia per il saggio di hip-hop che la sua scuola doveva allestire.
Samuel adorava il suo lavoro, anche se gli era costato tempo e fatica. Ma vedere ora l’allestimento del suo spettacolo, con le musiche che lui adorava, lo faceva sentire bene. 
Aveva ottenuto il finanziamento per aprire la scuola di danza in cui si era fatto trascinare anima e corpo dal suo amore per la danza, il movimento, quel miscuglio di suoni ed armonie che muovevano il suo corpo. 
Con un movimento fluido si tolse la camicia gettandola sulla sedia, si avvicinò allo stereo e mise su una canzone di Sean Paul, Hold my hand e, appena partite le note, iniziò a danzare. 
Non era una canzone dal ritmo forsennato, tipica del cantante, ma con la sua cadenza lenta, dava pace alla mente e riportava fluidità al corpo. Continuò a danzare e senza che se ne accorgesse, lentamente il sole calò su quella strana giornata.

... continua ....


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