Lettori fissi

giovedì 9 dicembre 2021

Intervista ad Alice Bassi

 


Per prima cosa, parlaci di te

Mi chiamo Alice e da questo scaturisce gran parte della mia fortuna. Non avete idea di quanti simpaticoni mi abbiano chiesto dov’è il Paese delle Meraviglie, fin da piccola. Non ho mai saputo rispondere, finché non ho deciso di crearlo io. Con i mattoncini Lego, all’inizio; poi, scoperti i libri, inventando storie. Oggi posso rispondere che il Paese delle Meraviglie è un luogo sublime: magnifico e terribile, come nella concezione romantica, dove a panorami mozzafiato si accompagnano gole irte di rovi. E vale la pena esplorarlo tutto, perfino di ferirsi. È quello che fanno le buone storie: incidono a fondo le nostre anime, perché gli spettri possano sgorgarne fuori.

 

Scrivere, perché?

Perché non voglio vivere una vita soltanto. Voglio esplorare ogni possibilità, sperimentare tutto. Voglio viaggiare in ogni Paese del mondo, sopravvivere su lontani pianeti, scoprire come sarei nel 3021, o nel 1021, o come donna delle caverne. Voglio provare a essere animale, pianta, uomo, donna, transgender e scoprire come ci si sente. Voglio volare, fumare, essere una salutista incallita, guidare un camion in Alaska, insegnare a una scuola di bambini in un villaggio congolese. Voglio tutto, ma ho una sola vita. Con la scrittura, invece, ne ho miliardi. L’unico limite è la fantasia.

 

Qual è l’elemento che non manca mai nei tuoi scritti?

La prospettiva. Che sia nell’uso di punti di vista multifocali, oppure che io utilizzi un solo personaggio per raccontare la storia, è indispensabile per me indossare la maschera del protagonista e fonderla con la mia carne. Mi sforzo di vedere il mondo come lui (o lei), di avere la sua parlata, i vizi, gli acciacchi e i punti di forza, le fragilità, i traumi, la voce, le allergie, i gusti alimentari, gli odori che odia, il luogo in cui si rifugia quando viene ferito – o ferita. E all’improvviso, quando inspiro e mi sento quel personaggio, il mio nome cessa di avere importanza. Perché io non sono più io.

 

Il tuo primo libro: cosa ricordi?

Ho iniziato a leggere intorno ai tre anni: i miei mi imbottivano di numeri di Topolino e libricini tattili di cui andavo matta. Ma se parliamo del primo, vero libro, penso a “Le avventure di Jim Bottone” di Michael Ende. Storie di draghi, lord inglesi, viaggi nella poetica città di Mandala, bambini rapiti, buio pececarboncorvino, pirati e una grassa locomotiva di nome Emma che sa anche navigare… in quel romanzo c’è tutto, e ancora oggi lo rileggo con piacere. Gran parte di ciò che ho imparato sulla scrittura deriva da lì. E da “Strega come me” di Giusi Quarenghi. E da “Il mistero della collina” di Giuseppe Pontremoli, parlando sempre di libri della mia prima infanzia. Ma questa è un’altra storia.

 

Usi sottofondi musicali mentre scrivi?

Sì, di due tipologie: effetti sonori, per le ambientazioni, e vere e proprie tracce – talvolta anche cantate – per identificarmi con un personaggio. In effetti, si potrebbe dire che i miei romanzi e racconti sono LP, oltre che storie scritte. Solo così riesco a calarmi in quella che io chiamo “la bolla”, e a escludere ogni bombardamento sensoriale dal mondo esterno finché l’incanto non si spezza.

 

Ti ritrovi nei tuoi personaggi o sono completamente diversi da te?

Anche se mi piace interpretare persone molto diverse, talvolta agli antipodi, i miei personaggi sono sempre emanazioni di parti di me. Può trattarsi di un solo tratto distintivo, come la combattività, oppure della condivisione di ricordi, di un trauma, un sogno, ma anche dell’ombra. Certi personaggi sono placidi e ti avvolgono con tepore, altri rappresentano un riflesso di te che ti fissa dallo specchio con un sogghigno mentre tu sei immobile. L’importante è non distogliere lo sguardo, anche se si ha paura di scoprire verità scomode sul proprio io interiore. Scrivere serve anche a questo.

 

Quali sono gli argomenti principali di cui si parla nei tuoi libri?

Credo che la mia passione per la letteratura americana si rifletta su ciò che scrivo. Nelle mie opere non può mancare il tema della sconfitta, degli ultimi che lottano perché qualcosa di bello accada nelle loro vite, oppure di individui in fuga o allo sbando. Parlo di ingiustizie, emarginazione, discriminazioni – non sempre dal punto di vista di chi le vive. Il protagonista del mio primo libro è un ragazzo neonazista nella Germania post caduta del Muro. Nel racconto lungo “Il coraggio di vincere”, ambientato nella Berlino degli anni ’70, la protagonista non è una ragazza dell’est, la parte più disagiata, ma dell’ovest: ciò mi permette di farle prendere coscienza dell’entità del suo privilegio.

Quando inizi un nuovo libro hai già in mente tutta la storia o la elabori ‘strada facendo’?

Cinquanta e cinquanta. Anzi: settanta/trenta. Dipende dal tipo di storia, dal modo in cui la spora dell’idea attecchisce e germina in me e dal periodo. Nei miei primi scritti la percentuale di storia inventata strada facendo era molto più alta. Oggi, a causa della necessità di scrivere racconti rapidamente e in sequenza, sui temi e dei generi più disparati, su richiesta di riviste e case editrici, mi affido volentieri a progettazioni e scalette. I dettagli minori della storia e dei personaggi possono evolversi in libertà, ma uno schema da cui partire mi aiuta a seguire la via da percorrere senza ansia.

 

Un libro che consiglieresti assolutamente da leggere e che non può mancare nella biblioteca di uno scrittore. Motiva il perché.

Potrei nominare la saga de “La torre nera” di Stephen King, perché è una bibbia di tecniche narrative. O “Carrie”, sempre di King, oppure “Furore” di John Steinbeck; “Story” di Robert McKee, poi, è un manuale di sceneggiatura imprescindibile. Ma, in fondo, credo che il libro che tutti gli autori dovrebbero avere è quello che non hanno ancora scritto perché ciò che sentono di dover dire li terrorizza. Oppure quello che, una volta letto, gli ha fatto pensare in modo ossessivo: “se solo lo avessi scritto io”. Ma se tu, autore, non hai ancora le idee chiare e magari credi che non ce la farai mai, allora consiglio senza dubbio “Scrivere zen” di Natalie Goldberg. Perché azzererà la tua angoscia, il senso di colpa, la vergogna, e ti farà sentire perdonato.

 

C’è stato, durante la stesura di un tuo romanzo, un momento in cui hai pensato di non farcela? Hai mollato, o sospeso per un periodo, o tenuto duro e andato/a avanti?

 

Certo. Tre anni fa, ad esempio, un romanzo, dopo aver tentato decine di volte di ricostruirne la scaletta, mi è crollato a pag. 300 perché mi sono accorta a posteriori di un elemento che non avevo considerato e che invalidava lo sviluppo della vicenda. Ha fatto male. Per anni sono rimasta bloccata. Mi vergognavo e mi odiavo. Poi, un giorno, ho trovato la forza per uscire dal bunker e affrontare la guerra nucleare che imperversava fuori. Non potevo morire nella paura, spezzando il cuore alla bambina che ero stata e che mi guardava con grandi occhi tristi. Così, ci ho riprovato. Ho letto “Scrivere zen”, seguito corsi di scrittura e editing, studiato, lavorato, mi sono messa in gioco e curata. Oggi non ho più paura e scrivo una storia via l’altra. Nel mio piccolo, con i miei tempi. Con la maschera antigas sempre allacciata alla cintura, ma è parecchio che respiro l’aria a pieni polmoni e mi godo il paesaggio. Non ho più paura. So che qualcosa, anche se sulle prime non ho idee, scriverò. E sono felice. Che fa rima con Alice. La quale, oggi sì, ha trovato il Paese delle Meraviglie.

Pagine di contatto:

 

Profilo su Facebook: https://www.facebook.com/alice.bassi.3/

Profilo su Instagram: https://www.instagram.com/alice_bassi_autrice/

E-mail: alice_bassi@alice.it

 

Biografia letteraria:

Alice Bassi (La Spezia, 1987) insegna scrittura creativa e lavora come editor. Il suo primo romanzo, allora intitolato “Il canto delle voci perdute”, è stato finalista al Premio Neri Pozza 2015. Ha pubblicato vari racconti in antologie (Edizioni della Sera, Watson Edizioni, Delos Books, Moscabianca Edizioni, Giulio Perrone Editore) e su riviste e blog letterari (Il rifugio dell’ircocervo, Split, Crack, Narrandom, Lost Tales Andromeda). Nel 2020, “Che Dio vi benedica” è stato uno dei racconti segnalati dalla giuria del Premio Robot.


      

   


   


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