Per prima
cosa, parlaci di te
Mi chiamo Alice e da questo scaturisce
gran parte della mia fortuna. Non avete idea di quanti simpaticoni mi abbiano
chiesto dov’è il Paese delle Meraviglie, fin da piccola. Non ho mai saputo
rispondere, finché non ho deciso di crearlo io. Con i mattoncini Lego,
all’inizio; poi, scoperti i libri, inventando storie. Oggi posso rispondere che
il Paese delle Meraviglie è un luogo sublime: magnifico e terribile, come nella
concezione romantica, dove a panorami mozzafiato si accompagnano gole irte di
rovi. E vale la pena esplorarlo tutto, perfino di ferirsi. È quello che fanno
le buone storie: incidono a fondo le nostre anime, perché gli spettri possano
sgorgarne fuori.
Scrivere,
perché?
Perché non voglio vivere una vita
soltanto. Voglio esplorare ogni possibilità, sperimentare tutto. Voglio
viaggiare in ogni Paese del mondo, sopravvivere su lontani pianeti, scoprire
come sarei nel 3021, o nel 1021, o come donna delle caverne. Voglio provare a
essere animale, pianta, uomo, donna, transgender e scoprire come ci si sente.
Voglio volare, fumare, essere una salutista incallita, guidare un camion in
Alaska, insegnare a una scuola di bambini in un villaggio congolese. Voglio
tutto, ma ho una sola vita. Con la scrittura, invece, ne ho miliardi. L’unico
limite è la fantasia.
Qual è
l’elemento che non manca mai nei tuoi scritti?
La prospettiva. Che sia nell’uso di
punti di vista multifocali, oppure che io utilizzi un solo personaggio per raccontare
la storia, è indispensabile per me indossare la maschera del protagonista e
fonderla con la mia carne. Mi sforzo di vedere il mondo come lui (o lei), di
avere la sua parlata, i vizi, gli acciacchi e i punti di forza, le fragilità, i
traumi, la voce, le allergie, i gusti alimentari, gli odori che odia, il luogo
in cui si rifugia quando viene ferito – o ferita. E all’improvviso, quando
inspiro e mi sento quel personaggio, il mio nome cessa di avere importanza.
Perché io non sono più io.
Il tuo primo
libro: cosa ricordi?
Ho iniziato a leggere intorno ai
tre anni: i miei mi imbottivano di numeri di Topolino e libricini tattili di
cui andavo matta. Ma se parliamo del primo, vero libro, penso a “Le avventure
di Jim Bottone” di Michael Ende. Storie di draghi, lord inglesi, viaggi nella
poetica città di Mandala, bambini rapiti, buio pececarboncorvino, pirati e una
grassa locomotiva di nome Emma che sa anche navigare… in quel romanzo c’è
tutto, e ancora oggi lo rileggo con piacere. Gran parte di ciò che ho imparato
sulla scrittura deriva da lì. E da “Strega come me” di Giusi Quarenghi. E da
“Il mistero della collina” di Giuseppe Pontremoli, parlando sempre di libri
della mia prima infanzia. Ma questa è un’altra storia.
Usi
sottofondi musicali mentre scrivi?
Sì, di due tipologie: effetti
sonori, per le ambientazioni, e vere e proprie tracce – talvolta anche cantate
– per identificarmi con un personaggio. In effetti, si potrebbe dire che i miei
romanzi e racconti sono LP, oltre che storie scritte. Solo così riesco a
calarmi in quella che io chiamo “la bolla”, e a escludere ogni bombardamento
sensoriale dal mondo esterno finché l’incanto non si spezza.
Ti ritrovi
nei tuoi personaggi o sono completamente diversi da te?
Anche se mi piace interpretare persone
molto diverse, talvolta agli antipodi, i miei personaggi sono sempre emanazioni
di parti di me. Può trattarsi di un solo tratto distintivo, come la combattività,
oppure della condivisione di ricordi, di un trauma, un sogno, ma anche dell’ombra.
Certi personaggi sono placidi e ti avvolgono con tepore, altri rappresentano un
riflesso di te che ti fissa dallo specchio con un sogghigno mentre tu sei
immobile. L’importante è non distogliere lo sguardo, anche se si ha paura di
scoprire verità scomode sul proprio io interiore. Scrivere serve anche a
questo.
Quali sono
gli argomenti principali di cui si parla nei tuoi libri?
Credo che la mia passione per la letteratura americana si rifletta su ciò che scrivo. Nelle mie opere non può mancare il tema della sconfitta, degli ultimi che lottano perché qualcosa di bello accada nelle loro vite, oppure di individui in fuga o allo sbando. Parlo di ingiustizie, emarginazione, discriminazioni – non sempre dal punto di vista di chi le vive. Il protagonista del mio primo libro è un ragazzo neonazista nella Germania post caduta del Muro. Nel racconto lungo “Il coraggio di vincere”, ambientato nella Berlino degli anni ’70, la protagonista non è una ragazza dell’est, la parte più disagiata, ma dell’ovest: ciò mi permette di farle prendere coscienza dell’entità del suo privilegio.
Quando
inizi un nuovo libro hai già in mente tutta la storia o la elabori ‘strada
facendo’?
Cinquanta e cinquanta. Anzi:
settanta/trenta. Dipende dal tipo di storia, dal modo in cui la spora dell’idea
attecchisce e germina in me e dal periodo. Nei miei primi scritti la
percentuale di storia inventata strada facendo era molto più alta. Oggi, a
causa della necessità di scrivere racconti rapidamente e in sequenza, sui temi
e dei generi più disparati, su richiesta di riviste e case editrici, mi affido
volentieri a progettazioni e scalette. I dettagli minori della storia e dei
personaggi possono evolversi in libertà, ma uno schema da cui partire mi aiuta
a seguire la via da percorrere senza ansia.
Un libro che consiglieresti assolutamente da leggere e che non può mancare nella biblioteca di uno scrittore. Motiva il perché.
Potrei nominare la saga de “La
torre nera” di Stephen King, perché è una bibbia di tecniche narrative. O
“Carrie”, sempre di King, oppure “Furore” di John Steinbeck; “Story” di Robert
McKee, poi, è un manuale di sceneggiatura imprescindibile. Ma, in fondo, credo
che il libro che tutti gli autori dovrebbero avere è quello che non hanno
ancora scritto perché ciò che sentono di dover dire li terrorizza. Oppure
quello che, una volta letto, gli ha fatto pensare in modo ossessivo: “se solo
lo avessi scritto io”. Ma se tu, autore, non hai ancora le idee chiare e magari
credi che non ce la farai mai, allora consiglio senza dubbio “Scrivere zen” di
Natalie Goldberg. Perché azzererà la tua angoscia, il senso di colpa, la
vergogna, e ti farà sentire perdonato.
C’è stato,
durante la stesura di un tuo romanzo, un momento in cui hai pensato di non
farcela? Hai mollato, o sospeso per un periodo, o tenuto duro e andato/a
avanti?
Certo. Tre anni fa, ad esempio, un
romanzo, dopo aver tentato decine di volte di ricostruirne la scaletta, mi è
crollato a pag. 300 perché mi sono accorta a posteriori di un elemento che non
avevo considerato e che invalidava lo sviluppo della vicenda. Ha fatto male.
Per anni sono rimasta bloccata. Mi vergognavo e mi odiavo. Poi, un giorno, ho
trovato la forza per uscire dal bunker e affrontare la guerra nucleare che
imperversava fuori. Non potevo morire nella paura, spezzando il cuore alla
bambina che ero stata e che mi guardava con grandi occhi tristi. Così, ci ho
riprovato. Ho letto “Scrivere zen”, seguito corsi di scrittura e editing, studiato,
lavorato, mi sono messa in gioco e curata. Oggi non ho più paura e scrivo una
storia via l’altra. Nel mio piccolo, con i miei tempi. Con la maschera antigas
sempre allacciata alla cintura, ma è parecchio che respiro l’aria a pieni
polmoni e mi godo il paesaggio. Non ho più paura. So che qualcosa, anche se
sulle prime non ho idee, scriverò. E sono felice. Che fa rima con Alice. La
quale, oggi sì, ha trovato il Paese delle Meraviglie.
Pagine di contatto:
Profilo su Facebook: https://www.facebook.com/alice.bassi.3/
Profilo su Instagram: https://www.instagram.com/alice_bassi_autrice/
E-mail: alice_bassi@alice.it
Biografia letteraria:
Alice Bassi
(La Spezia, 1987) insegna scrittura creativa e lavora come editor. Il suo primo
romanzo, allora intitolato “Il canto delle voci perdute”, è stato finalista al
Premio Neri Pozza 2015. Ha pubblicato vari racconti in antologie (Edizioni
della Sera, Watson Edizioni, Delos Books, Moscabianca Edizioni, Giulio Perrone
Editore) e su riviste e blog letterari (Il rifugio dell’ircocervo, Split,
Crack, Narrandom, Lost Tales Andromeda). Nel 2020, “Che Dio vi benedica” è
stato uno dei racconti segnalati dalla giuria del Premio Robot.
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