Lettori fissi

martedì 7 dicembre 2021

Intervista a Isa Pagliarini, autrice

 


 

Per prima cosa, parlaci di te (breve descrizione)

Sono una persona che ci ha messo 30 anni ad aprire quel cassetto pieno di sogni. Ma la vita è così, ti offre la capacità di veleggiare tra le parole, ma poi ti obbliga a scegliere strade da cui possa scaturire il guadagno vero che ti permette di sopravvivere. E alla fine arrivi a seguire il sogno di bambina solo quando hai una sicurezza economica alle spalle e la famiglia che riesce a stare sulle sue gambe anche se ti prendi qualche ora al giorno per scrivere. La mia strada è stata quella della Medicina Veterinaria, infiocchettata di una serie di hobbies che hanno completato le mille sfaccettature della mia personalità, le arti marziali, la danza, la sartoria teatrale, gioco di ruolo e da un marito e un figlio che costruiscono il futuro insieme a me. Alla fine non c’è miglior detto che quello della nonna: impara l’arte e mettila da parte. Tutto, prima o poi, serve a un autore.

Scrivere, perché?

Si scrive per sé stessi, per dare forma al proprio universo interiore, a quelle idee che premono contro il diaframma della coscienza per venire alla luce. E si scrive per il pubblico, per offrire ai lettori le medesime emozioni che proviamo noi scrivendo e vivendo lo snodarsi della trama nel meraviglioso e tormentato processo creativo. Scriviamo per capire noi stessi e le nostre reazioni, per suggerire nuove idee, nuovi punti di vista, nuovi sprazzi di saggezza, sentimento e percezione. Non c’è stato un solo libro che non mi abbia lasciato qualche frase come epitaffio o qualche suggestione incisa a fuoco nell’anima. E, scrivendo, spero anche io di lasciare simili eredità a chi leggerà i miei romanzi. Qualche anno fa, parlando con una libraia, mi sentii chiedere: “Ma c’è davvero bisogno di un altro libro?” Sulle prime ci rimasi male, perché la presi come un attacco personale. Chi sono io per meritare un posto accanto a Dante o Eco o King? Poi ci pensai e provai a capirla e a dare una risposta che non suonasse come una parolaccia. Ebbene sì. C’è bisogno di un altro libro, di un altro sogno ben scritto, curato, coerente ed emozionante. C’è bisogno di cadere nell’abisso di un autore per trovare nuovi punti di vista sul mondo, conoscere il suo vissuto che trasuda dalle pagine scritte. C’è bisogno di cultura, di diffondere il piacere della lettura, di un viaggio lungo una vita intera.

Usi sottofondi musicali mentre scrivi?

La stimolazione sensoriale è imprescindibile quando creo. Potrei scrivere anche sospesa su una gru, ma sarei troppo impegnata a combattere il terrore da vertigini, quindi le migliori “pièces” vengono fuori quando posso restare in un luogo tranquillo e sfruttare la musica adatta a ciò che sto per scrivere, ma anche profumi, gusti, sensazioni tattili. Tutto concorre a creare il giusto stimolo e a calare nel pieno della composizione attraverso suggestioni sinestesiche che facciano sgorgare parole, frasi, paragrafi e interi capitoli con maggiore velocità, incisività e fluidità.

Storie vere o con connotazioni fantasy?

Il mio genere primario è il fantasy storico. Quindi parto da storie vere in cui armonizzo l’urban fantasy di un universo da me già elaborato in ogni dettaglio e che, in ogni libro, emerge un tassello alla volta a beneficio del lettore che, man mano, scopre una nuova teoria sull’origine del mondo, dell’universo e della religione. E’ sicuramente un lavoro titanico, perché oltre a dover scrivere una trama, devo anche compiere ricerche storiche per rappresentare in maniera più vicina possibile alla perfezione, un periodo storico, un personaggio o un luogo, esattamente com’erano. Ma trovo che ci siano così tante storie nel nostro passato e voci perdute che meritano di tornare a essere udite. Mi piace farmi ispirare dal mondo stesso e dalle sue leggende, trovare piccole chicche quasi dimenticate o poco conosciute per dare loro nuova vita, e nuova visibilità. Mi piace viaggiare indietro nel tempo e scoprire come una storia vecchia di duecento o mille anni possa aver ancora qualcosa da raccontare. Mi piace offrire nuove chiavi di lettura ad antichi misteri irrisolti, omicidi mai chiariti o, comunque, andare dietro le quinte della storia alla scoperta della psicologia e dei perché dei personaggi storici. Le loro scelte. Le loro vite. Gli errori e le vittorie.

Quando inizi un nuovo libro hai già in mente tutta la storia o la elabori ‘strada facendo’?

Ho in mente il canovaccio principale. Da dove parto, dove arrivo e i passi fondamentali nel mezzo. Poi lascio che il flusso di coscienza porti a galla la storia man mano che i personaggi la declamano. Può capitare che, per seguire esattamente la psicologia di un personaggio, la storia prenda svolte impreviste ed è anche il misurarmi con la coerenza dei miei figliocci di carta e inchiostro, che mi rende felice. A volte guardo le loro schede e dico: “Bene ragazzi, come posso complicarvi la vita ora?” E Immagino loro che bucano la quarta parete e mi dicono: “Mammà, ti aspetti che noi agiamo così, e invece toh, facciamo l’opposto, e ora sono cavolacci tuoi!”

Cosa preferisci trasmettere, spensieratezza o un messaggio ben preciso?

Desidero trasmettere emozioni. Spensieratezza, ma anche ira, passione, gioia, tristezza e soprattutto il dubbio, la curiosità, la voglia di presentare un diverso punto di vista sulla storia, sulle leggende, ma anche sulla società. Capire dove siamo ora in base a come eravamo in passato. Quindi il messaggio c’è ed è di tolleranza verso la meravigliosa diversità del mondo, ma racchiuso in un guscio di emozioni e sensazioni.

Una delle frasi più belle tratte da un tuo libro

Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono. E’ la frase che nonno Draco dice a Cécile ne “La Bestia”, per spiegarle come mai i paesani continuano a chiamarla “figlia della strega francese” e a trattarla male. Alla fine, l’interrogativo è sempre uno: chi è la vera bestia? Un lupo che caccia per mangiare, o l’uomo che uccide per diletto? L’ho trovata una perfetta metafora dell’istinto umano che è portato come prima reazione a distruggere e solo secondariamente a capire. Più tardi ancora ad accettare e integrare.

Un libro che consiglieresti assolutamente da leggere e che non può mancare nella biblioteca di uno scrittore. Motiva il perché.

Il Nome della Rosa, di Umberto Eco. E’ una pietra miliare della letteratura storica. Eco in altri testi risulta davvero ostico nella costruzione dei periodi e nelle scelte dei vocaboli e dei ritmi, ma in questo romanzo è perfettamente scorrevole e inanella la storicità con i colpi di scena della trama in maniera magistrale. Allo stesso modo, a volte appare un poco tracotante nella sua immensa cultura, ma in questo testo, sebbene si tratti di un lavoro ricco di citazioni e di elementi dotti, non fa sentire il lettore sminuito per la mancata conoscenza di ciò che egli cita, ma lo educa e lo accompagna a capire il contenuto dei passaggi più ostici. Quello che un autore impara da questo romanzo è come dosare il ritmo narrativo in un thriller con la giusta caratterizzazione dei personaggi che non risultano mai banali o con motivazioni traballanti, ma sono granitici nella loro struttura e, per questo, veri e tangibili. Così come sono tangibili le atmosfere descritte, in cui si possono quasi percepire il freddo umido dell’inverno, l’odore pergamenaceo e muffoso dei libri o i profumi dell’erboristeria del monastero. Insegna, infine, a scegliere una trama convincente e solida e a come far emergere i dettagli delle indagini senza tradirsi o far apparire i classici espedienti di “deus ex machina”, le forzature di trama (per esempio l’indizio risolutivo capitato per caso all’investigatore) che salvano una situazione troppo complessa.

Punti sul classico libro cartaceo o preferisci gli ebook? Perché?

Cartaceo. L’e-book è un corollario. Sono feticista della carta stampata, adoro il profumo della carta e dell’inchiostro che si impregna tra le fibre, adoro tenere in mano fisicamente il libro e sfogliarlo, percepirne il calore e la consistenza. Nulla a che vedere con una manciata di byte.

La domanda più insolita che ti hanno rivolto sui tuoi libri.

“Ma perché non scrivi…” e terminano la frase con cose diverse, dal giallo al thriller, al romanzo storico. Ciò che spaventa il pubblico è la dicitura “fantasy” in una categoria. Come se Fantasy tuttora significasse qualcosa di adatto ai bambini o, peggio, qualcosa di legato ad ambienti satanici. Nella mia esperienza di giocatrice di ruolo ne ho viste, sentite e subite tante che ormai non mi impensieriscono più i giudizi di chi non sa vedere oltre il proprio naso. Però capisco che questo pregiudizio nei confronti del fantasy in ogni sua declinazione è ancora radicato nei lettori tanto che la fetta di chi legge un titolo fantasy è esigua rispetto al resto del panorama. Ho però vissuto tutte le epoche del Fantasy (un vantaggio di essere del giubilare anno 1975) e ho visto il periodo dei secchioni che giocavano a D&D in cantina e citavano Tolkien a memoria, guardando e riguardando Labyrinth o la Storia Infinita, quella dei nuovi giochi di ruolo degli anni’90, e i primi libri urban fantasy degni di questo nome scritti dalla Rice. E poi l’avvento dei giochi digitali play by chat, e tutta la rivoluzione editoriale e cinematografica degli anni dal 2010 in avanti. Ora mi è chiaro che lo sdoganamento del fantasy come genere con una sua dignità è avviata ed è sulla buona strada, grazie a molti autori e registi che credono e si impegnano a mantenere alto lo standard del genere. Certo poi c’è anche Twilight, ma vabbé, qualche scivolone capita a tutti!

 

 


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